N. 26. Aria
BASILIO
In quegl'anni, in cui val poco
la mal pratica ragion,
ebbi anch'io lo stesso foco,
fui quel pazzo ch'or non son.
Che col tempo e coi perigli
donna flemma capitò;
e i capricci, ed i puntigli
della testa mi cavò.
Presso un picciolo abituro
seco lei mi tra**e un giorno,
e togliendo giù dal muro
del pacifico soggiorno
una pella di somaro,
prendi disse, oh figlio caro,
poi disparve, e mi lasciò.
Mentre ancor tacito
guardo quel dono,
il ciel s'annuvola
rimbomba il tuono,
mista alla grandine
scroscia la piova,
ecco le membra
coprir mi giova
col manto d'asino
che mi donò.
Finisce il turbine,
nè fo due pa**i
che fiera orribile
dianzi a me fa**i;
già già mi tocca
l'ingorda bocca,
già di difendermi
speme non ho.
Ma il fiuto ignobile
del mio vestito
tolse alla belva
sì l'appetito,
che disprezzandomi
si rinselvò.
Così conoscere
mi fè la sorte,
ch'onte, pericoli,
vergogna, e morte
col cuoio d'asino
fuggir si può.
(Basilio e Bartolo partono.)