N. 26. Aria BASILIO In quegl'anni, in cui val poco la mal pratica ragion, ebbi anch'io lo stesso foco, fui quel pazzo ch'or non son. Che col tempo e coi perigli donna flemma capitò; e i capricci, ed i puntigli della testa mi cavò. Presso un picciolo abituro seco lei mi tra**e un giorno, e togliendo giù dal muro del pacifico soggiorno una pella di somaro, prendi disse, oh figlio caro, poi disparve, e mi lasciò. Mentre ancor tacito guardo quel dono, il ciel s'annuvola rimbomba il tuono, mista alla grandine scroscia la piova, ecco le membra coprir mi giova col manto d'asino che mi donò. Finisce il turbine, nè fo due pa**i che fiera orribile dianzi a me fa**i; già già mi tocca l'ingorda bocca, già di difendermi speme non ho. Ma il fiuto ignobile del mio vestito tolse alla belva sì l'appetito, che disprezzandomi si rinselvò. Così conoscere mi fè la sorte, ch'onte, pericoli, vergogna, e morte col cuoio d'asino fuggir si può. (Basilio e Bartolo partono.)