Ma un mattino, come obbedendo a una musica strana, cominciammo a pensare al profumo di una terra lontana. Pieni d'illusioni, finalmente andavamo via, a scaldarci al vino dolce dei chilometri su ogni ferrovia.
Dal finestrino del treno scivolavano via città, paesi e (...). Volti cari pa**avano davanti e ora facevo (...). Legami affettuosi tenuti a mente come piccoli (...). Ora niente in un pa**ato senza difetti e senza pregi. Parole di ragazzi conosciuti una sola notte dentro la stazione. Quando il mattino dopo il loro treno andava in un'altra direzione. Dal finestrino del treno ora decifravo la mia vita ad ogni galleria. Mi aggrappavo al vetro con le dita. Andavamo attraverso scompartimenti devastati, inciampando sopra bagagli ormai dimenticati. Alberi gelati dalla neve scorrevano via dal finestrino. Poi qualcosa di tenero e caldo mi venne vicino. Qualcuno che mi toccava con la mano per capire chi ero. La luna per un attimo illuminò un sorriso talmente vero d'una creatura che abbracciai, obbedendo a un impulso così dolce. Mentre qualcuno diceva: "sentite come ogni musica si distorce". Lei prese le mie mani e se le portò alle guance. La sensazione di quel calore mi addolcì il cuore come uno strano contagio. Mentre intorno a noi tutto rallentava nel buio di quel vagone e io capivo che finalmente entravamo in un'altra costellazione. Infatti scendemmo all'improvviso sopra uno strano altipiano. Un paese circondato da quattro precipizi, un posto mano. Dove la gente intorpidita dal caldo, aspettava quieta la sera. Per iniziare i giochi floreali di maggio, le danze alla primavera. Quell'aria densa tutto intorno di campagna e di vendemmia. Quel disordine festante che rendava l'ordine una bestemmia. E mentre i trattori trasportavano il carro dei re Magi, guidati da una stella che luccicava gonfia di dolci presagi. Io già correvo frenetico a corteggiare le ragazze dei dintorni. Immersi in un'atmosfera dove ogni divieto perdeva i suoi contorni. Eccomi lì a condurre con occhi ingenui, il gallo in un prato, in un fienile oppure a parlare fino all'alba con la pietra gelida di qualche cortile. Mentre fisarmoniche scordate, sa**ofoni impazziti, cominciavano a darsi da fare per radunare la gente dopo cena in qualche piazza ad ascoltare. I rumori delle cucine, le risate, le fontane (...) dentro una notte così bella in cui il ricordo del giorno faceva solo male.
Siamo giunti in uno strano paese.
Io ti porterò giù, più giù, più giù..
dove faremo progetti folli e incredibili, ma così belli,
da restituire dignità ai nostri nervi ed abbattere quei cancelli
cresciuti durante gli anni dell'obbedienza
quando credevamo che sapere fosse abbastanza,
che il solo rifiuto basta**e per far parte dei puri,
mentre i cancelli di un tempo diventavano muri.
io ti porterò giù, più giù, più giù,
dove la scelta di esser veramente liberi ci renderà così diversi!
incomprensibili agli altri, persino ai nostri amici,
quelli che parlavano di ritrovarsi ed ora ci vedono felici
alla ricerca delle nostre parti mancanti, di un segno,
dei nostri gesti importanti, scontati o risaputi,
noi che non abbiamo più ritegno
forti dei giochi appena riavuti.
… io ti porterò giù, più giù, più giù,
dove scoprirò ed accetterò i miei bisogni
e te li verrò a dire. I miei bisogni ridicoli o sconvolgenti
t'amerò e te lo farò capire,
con tutti i mezzi impossibili,
tutte le parole impronunciabili,
con tutte le carezze più imbarazzanti,
per farti far le tenerezze
quando hai pudore nel farti avanti,
appena i gesti rifiuteranno le parole
e le nostre immaginazioni avranno finalmente
un valore.