Alla fine ti trovasti in un bel posto E lì capisti perché t'erano stati chiesti Gli occhi in prestito. Per il loro particolare colore, Fai tu quale, che ora è l'iride delle finestre. Alla fine ti fu chiaro perché quel gran parlare Della tua bella conchiglia auricolare; E quel solleticare. Eccoli i padiglioni, I disimpegni, la chiocciola i vestiboli ecco la stanza. E tu entrasti perché c'era tutto E tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni, Le tue belle presenze e gli abbandoni, Le carezze in cambio delle tue carezze, E le scontrosità, le irritazioni. C'era anche qualcuno che ti diceva "È tardi Dobbiamo andare". E tu dicevi "No, io voglio ancora, Ancora io mi voglio mi voglio rivedere E se non tutta, almeno l'inizio". Che cosa avresti fatto per sentirti un po' più sola E per dolcemente navigare Sul dorso o sul tuo petto, E fare una capriola Che ribalta**e il cielo. Lì c'eran tutti predisposti i baci Asciutti e meno e tutti i desideri,
E le istintive applicazioni di te Eran montate ad arte accanto al tuo profilo, Vicino ad ogni tua parte. E tu dicevi "Ancora un altro poco E se non tutto almeno un po' d'inizio". Fare si può fare ed anche disfare, Ma è un'impalcatura. Dipende da chi sopra ci sale. E tu dicevi "Ancora un poco, E se non tutto, e se non tutto Almeno l'inizio". E tu, una volta su Osservi la tua stanza. Tu, la tua, nella quale, Oltre il disfare e il fare, Si delineano cose Appena appena verosimili. Con ciliege pa**eggere e grappoli appannati, D'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini, Perché tu, che ti senti alle volte una mandria Possa indire turchini selvaggi festini. Con curvi cieli estivi che scendono Come coperchi su te che bollivi. Con i freschi provvisori che soffiano Sotto i cuscini e tu li a**alivi Con gli abbracci e le guance Giaciute con l'equatore Perché di te, già cibata, Non è di calore che hai bisogno Ma di un orgoglioso refrigerio.