Chissà se esiste nulla che Abbia più gran tedio di sé Di una piovosa domenica italiana. Se poi è già sera, ed è novembre Con il crepuscolo che scende Su questa guazza metropolitana, Più ancor rimpiango le veglie attorno ai fogolàr...* All'oste l'ho dovuto dire: "Sei ancora in tempo per fuggire", E lui temeva che fosse per la cena!** Di Vecchia Italia onesta scorza, Anch'egli ignora la sua forza E quel suo affetto mi dà una dolce pena. Ma il vino suo denso sa sempre scaldarmi il cuore... Testimoniare verità: Null'altro resta ormai da dire, Vorrei il coraggio di una fede, O emanciparmi da viltà, Dalla paura di morire Come sa solo far chi crede. Ma sotto un disperato cielo Ciò che mi spinge adesso a uscire Sà ancora d'empietà, e spero Avrò nuove cristianità Dal clandestino mio Dies Irae, Perché anche lì vi è Pietà e Amore... Mi è caro il gergo popolare, Il puerile senso dell'onore, La sua allegrezza, la tragica incuranza.
Vi è ancora un senso, una pa**ione, Vi sopravvive una nazione Con residuale, sfrontata appartenenza. Non so per quanto, ma meglio di voi, di me... Forse a guardare troppo in là Mi ritrovai gli occhi feriti, E un balsamo vorrei, o un figlio. O un'innocenza che berrei Come tra giovani banditi Belli e cari agli Dei. E prego Mi si traghetti oltre la notte Lungo i can*li delle vie, Fino alla quiete che Concede lo stolto tempo che gli Dei Li ha trasformati in malattie, Febbri dei giorni miei... Hai già cenato? Perché mi dai del Lei? "Che famo, annamo?" NOTE *Focolare tradizionale friulano, di forma circolare. Un elemento che ritorna spesso nelle memorie dell'infanzia friulana di Pasolini, quasi un simbolo di quel "conforto comunitario" che il poeta dava già per spacciato oltre 40 anni fa. ** E' "l'oste" stesso a raccontarlo: un ristoratore molto amico di Pasolini e uno degli ultimi ad averlo visto vivo.