"O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. 24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio, a la qual forse fui troppo molesto". 27 Subitamente questo suono uscìo d'una de l'arche; però m'accostai, temendo, un poco più al duca mio. 30 Ed el mi disse: "Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto: da la cintola in sù tutto 'l vedrai". 33 Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s'ergea col petto e con la fronte com'avesse l'inferno a gran dispitto. 36 E l'animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: "Le parole tue sien conte". 39 Com'io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: "Chi fuor li maggior tui?". 42 Io ch'era d'ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel'apersi; ond'ei levò le ciglia un poco in suso; 45 poi disse: "Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fïate li dispersi". 48 "S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte", rispuos'io lui, "l'una e l'altra fïata; ma i vostri non appreser ben quell'arte". 51 ************ Ma quell'altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa; 75 e sé continüando al primo detto, "S'elli han quell'arte", disse, "male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto. 78 Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell'arte pesa. 81 E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio incontr'a' miei in ciascuna sua legge?". 84 Ond'io a lui: "Lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio". 87 Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso, "A ciò non fu' io sol", disse, "né certo sanza cagion con li altri sarei mosso. 90
Ma fu' io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto". 93 "Deh, se riposi mai vostra semenza", prega' io lui, "solvetemi quel nodo che qui ha 'nviluppata mia sentenza. 96 El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo". 99 "Noi veggiam, come quei c' ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102 Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. 105 Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta". 108 Allor, come di mia colpa compunto, dissi: "Or direte dunque a quel caduto che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto; 111 e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che 'l fei perché pensava già ne l'error che m'avete soluto". 114 E già 'l maestro mio mi richiamava; per ch'i' pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu' istava. 117 Dissemi: "Qui con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio". 120 Indi s'ascose; e io inver' l'antico poeta volsi i pa**i, ripensando a quel parlar che mi parea nemico. 123 Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: "Perché se' tu sì smarrito?". E io li sodisfeci al suo dimando. 126 "La mente tua conservi quel ch'udito hai contra te", mi comandò quel saggio; "e ora attendi qui", e drizzò 'l dito: 129 "quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell'occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il vïaggio". 132 Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo per un sentier ch'a una valle fiede, 135 che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.