Coronata di rose e di viole Scendea di Giano a rinserrar le porte La bella Pace pel cammin del sole, [3] E le spade stringea d'aspre ritorte, E cancellava con l'orme divine I luridi vestigi de la morte; [6] E la canizie de le pigre brine Scotean dal dorso, e de le verdi chiome Si rivestian le valli e le colline; [9] Quand'io fui tratto in parte, io non so come, Io non so con qual possa o con quai piume, Quasi sgravato da le terree some. [12] E mi ferì le luci un vivo lume , Ove non potea l'occhio essere inteso, E vinto fu del mio veder l'acume, [15] Com'uom che da profondo sonno è preso, Se una vivida luce lo percote, Onde subitamente è l'occhio offeso, [18] Le confuse palpebre agita e scote, Né può serrarle, né fissarle in lei, Che sua virtute sostener non puote; [21] Così vinti cadevan gli occhi miei, Ma il Ciel forze lor diè più che mortali, Da sostener la vista de gli Dei. [24] Non cred'io già che fosser questi frali Occhi deboli e corti e spesso infidi, Cui non lice fissar cose immortali. [27] Forse fu, s'egli è ver che in noi s'annidi, Parte miglior che de le membra è donna; Onde come io non so, so ben ch'io vidi. [30] Vidi una Dea; nulla era in lei di donna, Non era l'andar suo cosa mortale , Né mai fu tale che vestisse gonna. [33] Di portamento altera , e quanta e quale Su gli astri incede quella al maggior Dio Del talamo consorte e del natale. [36] Nobile, umano, maestoso e pio Era lo sguardo, e l'armonia celeste Comprenderla non può chi non l'udio. [39] Sovra l'uso mortal fulgida veste Copre le sante immacolate membra, E svela in parte le fattezze oneste. [42] Tessuta è in Paradiso, e un velo sembra; Ma a tanto già non giunge uman lavoro; Oh con quanto stupor me ne rimembra! [45] Siede su cocchio di finissim'oro Umilemente altera, ed il decenne Berretto il crine affrena, aureo decoro. [48] Stringe la manca la fatal bipenne, E l'altra il brando scotitor de' troni, Onde a cotanta altezza e poter venne [51] La gran madre de' Fabj e de' Scipioni; Sotto cui vide i Regi incatenati Curvar l'alte cervici umili e proni. [54] Pronte a' suoi cenni stanle d'ambo i lati Due Dive, dal cui sdegno e dal cui riso Pendon de l'universo incerti i fati. [57] L'una è soave e mansueta in viso, E stringe con la destra il santo ulivo, E il mondo ra**erena d'un sorriso. [60] E l'altra è la ministra di Gradivo, Che si pasce di gemiti e d'affanni, E tinge il lauro in sanguinoso rivo. [63] Due bandiere scotean de l'aure i vanni; Su l'una scritto sta: Pace a le genti, Su l'altra si leggea: Guerra ai Tiranni. [66] Taceano al lor pa**ar l'ire de' venti, Che, survolando intorno al sacro scritto, Lo baciavano umili e reverenti. [69] Quinci è Colei, che del comun diritto Vindice, a l'ima plebe i grandi agguaglia, Sol diseguai per merto o per delitto; [72] E se vede che un capo in alto saglia, E sdegni a**oggettarsi a la sua libra, Alza la scure adeguatrice, e taglia. [75] E con la destra alto sospende e libra L'intatta inesorabile bilancia, Ove merto e virtù si pesa e libra. [78] Non del sangue il valor, ch'è lieve ciancia, E tanto nocque alle cittadi, e nuoce; E sal Lamagna, e 'l seppe Italia e Francia. [81] Dolce in vista ed umano e in un feroce Quindi era il patrio Amor, che ai figli suoi Il cor con l'alma face infiamma e cuoce; [84] E i servi trasformar puote in Eroi, E non teme il fragor di tue ritorte, O Tirannia, né de' metalli tuoi; [87] Non quella cieca che si chiama sorte, Che i vili in Ciel locaro, e fecer Diva; E scritto ha in petto: O Libertate o morte. [90] D'ogn'intorno commosso il suol fioriva, L'aura si fea più pura e più serena, E sorridea la fortunata riva. [93] E a color che fuggir l'aspra catena, Prorompeva su gli occhi e su le labbia Impetuosa del piacer la piena; [96] Come augel, che fuggì l'antica gabbia, Or vola irrequieto tra le frondi, Rade il suol, poi si sguazza ne la sabbia. [99] Quindi s'udian romor cupi e profondi, Un franger di corone e di catene, Un fremer di Tiranni moribondi. [102] Impugnando un flagel d'anfesibene La Tirannia giacevasi da canto, E si graffiava le villose gene. [105] E i torbid'occhi si copria col manto; Ché la luce vincea l'atre palpebre, E le spremea da le pupille il pianto; [108] Come notturno augel, che le latebre Ospiti cerca allor che il Sole incalza Ne' buj recinti l'orride tenebre. [111] Èvvi una cruda, che uno stile innalza, E 'l caccia in mano a l'uomo e dice: Scanna, E forsennata va di balza in balza. [114] Nera coppa di sangue ella tracanna, E lacerando umane membra a brani, Le spinge dentro a l'insaziabil canna. [117] E con tabe-grondanti orride mani I sacrileghi don su l'ara pone, E osa tendere al Ciel gli occhi profani. [120] Che più? Sue crudeltati ai Numi appone, E fa ministro il Ciel di sue vendette; E il volgo la chiamò Religione. [123] Si scolorar le faccie maledette, E l'una a l'altra larva s'avviticchia, E stan fra lor sì avviluppate e strette, [126] Che il cor de l'una al sen de l'altra picchia, Ansando in petto, e trabalzando, e poscia La coppia abbominosa si rannicchia. [129] Qual'è lo can che tremando s'accoscia, Se il signor con la verga alto il minaccia, Tal ristrinsersi i mostri per l'angoscia. [132] Ma poi che di quell'altra in su la faccia Vide languir la moribonda speme, Colei che in sacri ceppi il volgo allaccia, [135] Incorolla dicendo: E mute insieme Morremo e inoperose? e il nostro lutto Fia di letizia a chi 'l procaccia seme? [138] Tutto si tenti e si ritenti tutto; E se morire è forza pur, si moja , Ma acerbo il mondo ne raccolga frutto. [141] Qualunque aspira a Libertate moja, Né onor di tomba o pianto abbia il ribaldo. E l'altra surse e gorgogliava: Moja. [144] Moja, sì moja, e temerario e baldo Cerchi in Inferno Libertade; il fio Paghi col sangue fumeggiante e caldo. [147] Acuto allor s'intese un sibilio Via per le chiome ed un divincolarsi E di morsi e percosse un mormorio. [150] Poscia terribilmente sollevarsi E un barlume di speme fu veduto Brillar sui ceffi lividi e riarsi; [153] Come allor che nel fosco aer sparuto In fra 'l notturno vel si mostra e fugge Un focherello pa**eggiero e muto. [156] L'infame coppia si rosicchia e sugge Di preda ingorda la terribil ugna, Si picchia i lombi risonanti e rugge. [159] Contra miglior voler voler mal pugna ; E fra la vil perfidia e la virtute Secura è sempre e disegual la pugna. [162] Ma stavan l'aure pensierose e mute, E il Ciel di brama e di timor conquiso, E pendevan le rive irresolute. [165] La Dea mirolle, e rise un cotal riso Di scherno e di disdegno, che dipinge Di gioja al giusto, al rio di tema il viso. [168] E immobile in suo seggio il cocchio spinge Su le attonite larve, e le fraca**a, E l'auree rote del lor sangue tinge. [171] Né per timore o per desio s'abba**a, Ma disdegnosa e nobile in sua possa Alteramente le sogguarda, e pa**a. [174] Fumò la terra di quel sangue rossa, Ond'esalava abbominoso lezzo, E da l'ime radici ne fu scossa. [177] Ondeggia, crolla, e alfin si spacca, il mezzo Apre del sen tenebricoso, e ingoja Quei vituperj, e parne aver ribrezzo. [180] Quinci acuto s'udì grido di gioja, E quindi un fioco rimbombar di duolo, Simile a rugghio di Leon che moja. [183] S'alzò tre volte, e tre ricadde al suolo Spossata e vinta l'Aquila grif*gna, Ché l'arse penne ricusaro il volo. [186] Alfin, strisciando dietro a la campagna, Le mozze ali e le tronche ugne, fuggio A gl'intimi recessi di Lamagna. [189] Allor prese i Tiranni un brividio, Che gli fe' paventar de la lor sorte, E mal frenato in su le gote uscio, [192] E gliele tinse d'un color di morte. [193]